Intorno al match e alle faccette
Ogni volta che vedo delle foto che ritraggono improvvisatori intenti a giocare un match mi innervosisco. Mi innervosisco spesso, in effetti, potrebbe non contare. No, invece conta.
La maggior parte di queste foto ha per soggetto una faccetta. Una faccetta buffa. Generalmente con gli occhi storti, il labbro inferiore in avanti, o la bocca apertissima in espressioni esagerate.
Questo perchè nel match è necessaria l’esagerazione, l’incredibile sorpresa, la stimolazione forte del pubblico con inaspettate trovate e ‘idee geniali’. Questa però non è l’improvvisazione.
Per anni si è perpetrata l’equazione che accostava una teoria, ovvero l’improvvisazione, a uno spettacolo, il Match, appunto. I corsi non proponevano un metodo, una serie di concetti, ma una serie di esercizi finalizzati ad andare in scena. Se facevi ridere, se eri creativo, se sapevi guidare un’improvvisazione dicendo agli altri cosa dovevano fare, allora andavi sul palco e magari, con un sillogismo poggiante su premesse quantomeno bizzarre, arrivavi a insegnare e quindi a diventare Professionista. O più spesso viceversa.
Adesso è tornato in auge. Molte associazioni riprendono a farlo, molte non hanno mai smesso. E’ certamente uno spettacolo che funziona, con meccanismi oliati e facile da fare per chi non fa dell’improvvisazione una professione e non ha quindi tempo modo o voglia di approfondire.
Penso però che sia un passo indietro per tutto il movimento. L’improvvisazione italiana non è (così) in crisi, non c’è bisogno di affidarsi al mattone. Alle vecchie certezze di una volta, il pane pugliese e gli oggetti di legno. Proprio in una fase di cambiamento e di progresso, ormai viva da quattro-cinque anni si frena tornando a riproporre scuole e spettacoli di Match in posti dove era sparita. Anche se con un rapporto percentuale Match-Altro diverso da quel 98-2 degli anni dall’89 al 2006.
E’ importante capire che il Match è solo un altro spettacolo, non è l’improvvisazione, non è la sua forma più brillante e esemplare, non è un punto d’arrivo.
E’ un posto sicuro, dove si possono fare le faccette e improvvisare senza pensare alla pulizia dell’improvvisazione, senza pensare ai progressi metodologici degli ultimi ani. Uno sfogo insomma, lecito e condivisibile, persino, ma pericoloso se non affrontato con la giusta analisi.
E certo, coi teatri pieni e la gente adorante perché riceve battute tormentone e personaggi macchietta, ricevendo cioè quello che potrebbe avere da un cabaret televisivo, non è un’analisi semplice da fare.
Posso aggiungere un giro al Fringe di Edimburgo?
In una settimana ho visto 20 spettacoli di cui almeno il 50% di livello molto alto.
Ed anche quelli più bruttini avevano comunque una loro dignità.
Non so perchè ma wordpress mi ha messo questo commento dalla tua segnalazione dei festival a questo topic…
Qui invece volevo scrivere che :
la predominanza del format-match visto come un porto sicuro e funzionale sta portando alla nascita di tante piccole compagnie che vestono il match di nuovo e propongono al pubblico gli stessi esercizi più o meno rivisitati.
Minestra riscaldata. Il problema è che, avendo un biglietto da visita come “siamo quelli del match” le persone tendono a premiarli ad occhi chiusi, anche di fronte ad un’omologazione del prodotto.
Mi ricorda tanto la sfida tra cinepanettone e film di qualità. E per ora sta succedendo come a Renè Ferretti nel film di Boris …
A me sembra che questo giudizio sia per lo meno capzioso e di parte all’interno del grande conflitto fra i due grandi poli dell’improvvisazione italiana.
E mi permetto di usare queste parole perchè da improvvisatore ormai di vecchia data sono al di fuori di questo grande conflitto.
Dopo anni di match ho dato vita, insieme a una decina di persone, all’imprò.
Il primo spettacolo del dopo match lo facemmo insieme (do you remember lo “spettacolo divertente”?).
Da quel momento e per molti anni ho perso i contatti con il “mondo match” giudicandolo fermo ed ancorato a vecchi schemi.
La mia esperienza personale si è però scontrata con altri tipi di vecchi schemi che mi hanno portato a fondare una mia piccola compagnia esterna ai grandi blocchi contrapposti.
Incontrare il match dopo anni stupisce come incontrare un vecchio amico: matura, cambia e mantiene alcuni difetti che ti fanno dire “è sempre lo stesso”.
Pertanto, ora che sono stato invitato da diverse associazioni a partecipare ad alcuni match, ho potuto conoscere ottimi improvvisatori, gente lontana anni luce dalle faccette e dagli ammiccamenti, attori capaci di creare emozioni e storie interessantissime. Così come ho rivisto un sacco di stupidaggini tipiche di un format basato sulla potenza della propria cornice.
Contemporaneamente ho visto Imprò terribili che della ricerca avevano poco, arrancare su capacità personali più presunte che reali, con tempi morti da fare stufare Celentano.
Il punto è sempre lo stesso: la qualità degli spettacoli non è insita nel format o in una certa supremazia culturale di una parte. La qualità è data dagli attori e dalla capacità di mettersi continuamente in discussione, cosa che se per anni non è successa nel mondo match da diverso tempo non succede neanche nel mondo imprò.
Tutto questo non lo dico per alimentare dissidi o polemiche fra improvvisatori, anzi.
Mi spiace leggere di improvvisatori che vivono questa arte come una contrapposizione fra cine-panettoni e film di qualità basandosi sul titolo dello spettacolo.
Anche perchè questa contrapposizione (che per fortuna è vissuta in certi termini solo dalla dirigenza degli opposti schieramenti) è destinata a fallire sotto i colpi della comunicazione fra improvvisatori, del mercato e dell’anagrafe: un giorno, se Dio vuole, i protagonisti di tanti screzi se ne andranno in pensione.
un abbraccio,
Mauro
p.s. quando iniziai il mio corso di avviamento al match mi trovai di fronte ad un ottimo insegnante che, lungi dall’insegnarmi come creare una gag e come lanciare la battuta più veloce del west, cercava di insegnarci una filosofia di fondo e un metodo di ascolto/partecipazione.
Poi c’era l’altro: quello che ci insegnava come strizzare l’occhio al pubblico.
Indovina chi è quello che adesso è tornato a fare i match?
Grazie Mauro per le precisazioni! Ovviamente il mio commento è di parte, ma non la parte di Improteatro, di cui non faccio parte.
Anche io sono fuori da suddette dinamiche, continuo a essere contrario all’idea di ”associazioni nazionali”, piuttosto mi piacerebbe che davvero si creasse una rete improvvisativa, che raccolga tutte le esperienze ma senza cappelli, nomi e presidenti. Come si fa in Europa e nel Mondo.
Non c’è molto da dire sull’analisi dello spettacolo e degli spettacoli. La condivido in pieno.
Il senso dell’articolo sta proprio nel rifiutare la divisione, l’idea che l’improvvisazione sia uno spettacolo (nel caso del Match questo è più radicato, ma non è molto diverso nel caso dell’Imprò) e non una teoria che si fa pratica in diversi spettacoli.
Lungi, molto, da me accostare la qualità all’Imprò. Penso che per il senso che ha sia più di qualità il Match. Sono spettacoli in cui la cornice è fondamentale, e non c’è paragone (a favore del Match, s’intende).
Vedo ancora però scuole di avviamento al Match d’Improvvisazione Teatrale. E non scuole di improvvisazione. Questo lo trovo un limite. Come lo è stato per la mia scuola, che mi ha attirato perché volevo mettermi le maglie da hockey, e dove ho iniziato a insegnare come si facevano le categorie, per esempio.
Lo trovo limitante per la materia improvvisazione.
Il senso stava lì.
A presto! (quando facciamo spettacoli divertenti e non divertenti???)
Quella idea di rete è ciò che stiamo cercando di fare con altre compagnie al di fuori di qualunque corporazione.
C’è un sacco di gente simpatica!
find us, join us and enjoy…
Pandora
@Mauro : il mio riferimento è completo se si pensa alla prospettiva di Renè Ferretti. E non sto parlando di imprò ma di tanti gruppi (almeno nella realtà che conosco io) che hanno appunto la pecca di essere match rivestiti, ma non parlo di imprò – di cui conosco uno dei creatori, collaboro con lui e doveva fare uno stage a Pandora.
E che secondo me peccano nel non provare a fare ricerca, quando potrebbero essere un buon viatico.
Il discorso non vuole essere assolutista – lungi da me – ma ve ne sono tante. E mi dispiace. Soprattutto dopo un ottimo Fringe, in cui ho potuto vedere le potenzialità REALI di cosa si può fare con l’improvvisazione.
PS : salutami Paolo Puleo, sono il regista con cui ha vinto Improterremotati 🙂
Tra l’altro, secondo me Boxeattori è un lavoro fantastico che va verso la filosofia che mi piacerebbe vedere.