Come si valuta un improvvisatore?
Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo dalla fantasia…
(F. De Gregori, La leva calcistica della classe ’68)
In fondo è facile giudicare un giocatore di calcio. Soprattutto se ha la maglia numero 7. Tipo Nino. O Figo.
Ma un improvvisatore?
Giocatore anche lui, in fondo, di un gioco con regole molto più vaghe di qualsiasi sport. In fondo si fa arte no?
Ho chiesto a Mico Pugliares, amico e collega da più di 10 anni, nonché direttore artistico di Teatribù, di indicarmi una serie di criteri con cui, secondo lui, ha senso valutare un improvvisatore sul palco. Ecco cosa mi ha risposto:
Uno dei punti più controversi nel mondo dell’improvvisazione teatrale italiana è sempre stato quello di trovare un modo per poter selezionare gli attori per gli spettacoli. Nel mondo vecchio dell’improvvisazione i criteri erano spesso figli di automatismi: sei docente? Quindi attore. Fai ridere? Quindi bravo. Mi sei simpatico? Quindi vai bene. Sei mio amico-fidanzata-ex allievo? Quindi è un SI, d’ufficio. Purtroppo questo meccanismo è ancora esistente in troppe situazioni.
Un mio ex allievo un paio di anni fa mi chiese “è possibile stabilire in maniera oggettiva se tizio sa improvvisare o meno?” La risposta è complessa ma questo mi ha fatto venire in mente la necessità di individuare dei criteri d’aiuto al difficile compito della selezioni per gli spettacoli soprattutto per quelli professionistici, categoria in molti casi disattesa.
Mico quindi parte da un discorso empirico, individua le cinque doti che, insieme, fanno di un improvvisatore un buon improvvisatore. Non si devono verificare per forza tutte, e anche se si verificano tutte lo spettacolo può venire male, ma per Mico hanno tutte lo stesso valore nel giudizio della completezza di un improvvisatore.
1. CAPACITA’ IMPROVVISATIVE
Ok, ci potevamo arrivare, direte voi. Questa in realtà è la più ampia delle categorie. Comprende la consapevolezza della regola aurea: ascolto e accetto, più tutta una serie di sblocchi che permettono di essere sempre presenti, sempre disponibili a lasciarsi stupire dall’improvvisazione, senza lasciarsi sorprendere da essa. Essere registi e autori contemporaneamente, saper leggere una scena prima di scriverla, fare proposte, non guidare ma farsi guidare, avere fiducia in sé, nel compagno, nell’improvvisazione…
2. CAPACITA’ SCENICHE
Gia’, quell’aggettivo… L’improvvisazione di cognome fa teatrale solo in Italia. Quindi, a questo punto, che sia teatrale! E’ importante che l’improvvisatore abbia consapevolezza dello spazio scenico, della prossemica, del gesto, dell’uso della voce, e che li sappia mettere a disposizione del proprio personaggio. Anzi, dei propri personaggi, sempre diversi, sempre efficaci.
3. RAPPORTO COL PUBBLICO
Uno spettacolo è un attore di fronte a uno spettatore. Il pubblico è ciò che rende lo spettacolo uno spettacolo; va ascoltato, rispettato, considerato parte integrante del gioco. Chi riesce ad avere presa sul pubblico (non solo facendolo ridere) ha una marcia in più. Anche il rapporto col pubblico non è solo frutto del talento. Bisogna sapere ascoltare le sue reazioni, leggerne le richieste, e allo stesso tempo avere una conoscenza del pubblico tale da poterne prevedere le necessità.
4. PIACERE DEGLI ALTRI A IMPROVVISARE CON NOI
‘Make your partner look good” è una delle massime dell’improvvisazione americana. Se facciamo apparire il nostro compagno migliore, il nostro compagno avrà più piacere a improvvisare con noi. E così via, a circolo virtuoso.
5. ETICA
L’improvvisazione non si improvvisa. C’è dietro lavoro, studio, impegno. Senza retorica. Ogni spettacolo che facciamo ha una dignità, anche se è davanti a 10 spettatori, anche se su una diga (chissà perché poi si dovrebbe fare uno spettacolo su una diga). E chi lo fa deve essere il primo a rispettare questa dignità. Si arriva allo spettacolo prima, ci si riscalda, non si tratta il pubblico come se fosse un incidente secondario allo spettacolo, o un gruppetto di amici venuti a tifare per noi.
Credo che sia una distinzione molto puntuale e interessante, che incontra il mio pensiero e il mio gusto. Penso che un improvvisatore o improvvisatrice eccellente debba avere tutte e cinque questi elementi sempre attivi e in costante crescita e miglioramento.
Naturalmente ho alcune doti preferite.
Ad esempio le capacità improvvisative, soprattutto il leggere una scena e la capacità di regia sul personaggio, che spesso possono portare a migliorare quasi in automatico le doti sceniche.
Sono inoltre un fanatico del punto cinque. Anche per gli spettacoli amatoriali. In qualsiasi caso. La professionalità quando si tratta di spettacoli è indipendente dal professionismo, dalla location o dalla quantità di pubblico presente. E’ ciò che rende uno spettacolo d’improvvisazione teatrale uno spettacolo degno. Che è anche lui un bell’aggettivo. Già, quell’aggettivo…
Bell’articolo (ormai sono noioso coi complimenti) e bello spunto di riflessione.
Dei 5 punti che Pugliares cita, e che trovo adeguati ed esaustivi, trovo il quarto come quello fondamentale, che mi sembra mancare in Italia e che potrebbe veramente dare uno spunto in più all’impro.
Ormai sono diventato noioso a dire che la competizione ammazza l’impro, è una mia visione (e sono conscio del fatto che non sia condivisibile) e quando prende il sopravvento il punto del ‘Make your partner look good” è il primo a crollare, trascinandosi dietro buona parte delle potenzialità della scena.
Se fossimo maggiormente educati allo stare in scena in maniera solidale e piacevole avremmo meno ansia, maggior voglia di rischiare e ci toglieremmo di partenza altre tematiche come il discorso sulle donne nell’impro : se lavorassimo veramente per mettere a proprio agio chi è in scena con noi, o anzi lavorassimo per farlo figurare il migliore in scena, nemmeno ci sogneremmo di chiamare dentro madri rincitrullite o prostitute da mettere a pigrecomezziradianti.
E, rispettando i tempi degli altri improvissattori, recupereremmo anche in teatralità.
Come sempre : my humble opinion 🙂
Bell’articolo e bell blog. Da matricola dell’improvvisazione lo scopro con piacere 🙂
Ho avuto il piacere, grazie ai miei compagni e amici amatori di lecce, di avere Mico come docente in un workshop . Di lui mi ha colpito molto la sollecitazione a far funzionare l’altro: più si è bravi più dobbiamo, come improvvisatori, far funzionare le proposte dei nostri partner in scena. Un’idea questa che ci porta dritto dritto nel cuore dell’improvvisazione teatrale così come l’intende uno dei suoi padri nobili: Keith Johnstone.