La Guerra Fredda dell’improvvisazione italiana

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Ah, l’estate 2006! Tutti probabilmente si ricordano dov’erano il 9 luglio, quando Grosso segnava un rigore vicino a quel palo lì e per l’ultima volta ci sentivamo italiani, orgogliosi di esserlo, tutti felici, blabla. Io tra l’altro mi ero laureato da 10 giorni. Periodo intenso.
Intensissimo in effetti: nell’estate 2006 l’improvvisazione italiana si spezza in due. O spiezaindue. (Per chi si fosse perso le puntate precedenti di storia dell’improvvisazione italiana, eccole: dal 1988 al 1995 e dal 1996 al 2006)

Nel 2006, infatti, l’associazione Imprò, sotto l’egida della quale si riuniscono tutte le associazioni italiane di Match d’Improvvisazione Teatrale (a parte la LIIT), si sfalda e dà luce a due grandi ‘blocchi’. Da una parte AresTeatro, che prosegue il lavoro sul Match , dall’altra Improteatro, che idea lo spettacolo Imprò. Ha inizio la Guerra Fredda dell’improvvisazione teatrale, guerra tra poveri, s’intende, tuttora in corso, che non aiuta certamente l’improvvisazione nel tanto agognato (?) salto di qualità e di dignità.

Risultato: da quell’anno è iniziata una partita di Risiko tra le due associazioni, che tuttora si contendono un numero di sedi importante (25 in 32 città Improteatro, 15 in 27 città il Match – fonte: siti ufficiali). In alcune città (Torino, Milano, Bologna, Roma) esistono associazioni affiliate a entrambi i network, ma ci sono anche gruppi che non fanno parte di nessun circuito, come Teatro a Molla di Bologna, i Bugiardini di Roma, B-Teatro di Torino, giusto per citare i primi nati.

Tra i due blocchi esistono pochissimi (quasi nulli in realtà) momenti di incontro e scambio, a tutti i livelli, amatoriale o professionale. E’ il circuito di cui ‘fai parte’ che ti definisce, non le cose che vuoi fare o che ti piace fare.
La deriva principale che vedo in questo è la scarsa possibilità di scegliere il proprio percorso.

Il punto è che spesso un improvvisatore, di qualsiasi livello, non lo sa cosa vuole fare.
Prende come oro colato quello che impara a lezione, o negli spettacoli che vede (perlopiù Match da una parte e Imprò dall’altra), cosa che fortunatamente si sta rivelando superata: chiunque può informarsi, scoprire esercizi, spettacoli nuovi, fare corsi e conoscere persone in modo completamente autonomo dalla propria associazione.

La necessità che sento è che tra i due blocchi ci sia più possibilità (e volontà) di scambio. Mi piacerebbe che chiunque si metta a fare improvvisazione in Italia potesse scegliere che tipo di percorso seguire, in base alla qualità e al metodo di chi lo propone, non che un allievo si mettesse a fare Match o Imprò perché nella sua città c’è solo quello. Questo, ancora una volta, è sintomo di quanto l’improvvisazione non sia conosciuta e riconosciuta.

E lo dico, attenzione, non per buonismo. Non penso che dobbiamo essere tutti amici, né che dobbiamo smettere di ‘campare’ di quest’arte in nome dell’apertura e della fratellanza a tutti i costi. Io so già di non voler lavorare con determinate persone e, beninteso, non auspico certo  una diaspora di tutti i miei allievi. Mi dispiace solo sapere che magari c’è qualcuno, al di là del muro, che la pensa come me ma con cui non ‘posso’ confrontarmi solo perché in Italia non abbiamo ancora imparato a farci concorrenza in modo utile all’improvvisazione oltre che (forse, ma nemmeno troppo) alle nostre belle associazioncine.

E, intanto, se dico a qualcuno che per vivere faccio improvvisazione, mi chiedono sempre se è tipo il programma di Ale e Franz.

39 Comments on “La Guerra Fredda dell’improvvisazione italiana”

  1. Un poco impreciso (un’imprecisione abbastanza macroscopica a dire il vero), manca un livello di lettura ma condivisibile anche stavolta. Soprattutto la chiusa (e la punchline ^.^).

    Ma (cit.) la gente vuole solo gol e gli improvvisatori hanno piu’ fame di palco che di conoscenza. O almeno, nella mia esperienza, questo vale per la maggior parte degli improvvisatori. Ed allora ha fortuna l’associazione che ti garantisce 4-6 spettacoli all’anno interrompendo la formazione dopo 2 anni. Anche se questo ti pone dei paletti importanti. Anche se ti fa fare spettacoli tutti simili tra loro. Anche se ti insegnano un unico stile di improvvisazione. Anche se (mettere una cosa a scelta)

    E’ interessante, comunque, vedere allievi / amatori che scelgono di non seguire solo il dogma proposto e decidono di esplorare per proprio conto il mondo improvvisativo all’estero ed in Italia. Ed avere i loro feedback.

    Ma secondo te, Davide, in Italia sarebbe sostenibile un modello come quello anglosassone?

    • Hai ragione Simone, manca (volutamente, se no diventava un trattato) una divagazione fondamentale, ovvero la descrizione dell”’anomalia italiana”. Ne parlerò in un altro post. In breve, noi siamo 1) scuole e non compagnie 2) amatori.
      Non auspico un sistema stile anglosassone basato unicamente su compagnie (no, non credo sia sostenibile, soprattutto per il mio mutuo!), ma che all’interno del sistema ‘scolastico/amatoriale’ ci sia più scambio e condivisione di conoscenza, che porterebbe chiunque a scegliere più liberamente e in base alla qualità. In questo modo credo che la qualità si innalzerebbe.
      Non è un percorso facile e questo post non è certo un punto di partenza, ma un’analisi di qualcosa che si sta già muovendo.

  2. Intelligente disamina, credo che, come hai detto, ci sia volontà da ambo le parti.
    A mio personale parere, questo desiderio, è sentito più “dal basso” che “dall’alto”.
    Come si può far sentire la vox populi?

  3. I muri non mi sono mai piaciuti…separano e evitano di crescere…auspico anche io che presto si possa trovare il modo per far sentire la vox populi e dare qualche sana picconata alla non permeabilità delle associazioni….bello spunto di riflessione…ma ora che fare? 🙂

  4. La libertà non manca per regole ma solo per voglia o fonti di guadagno.
    Noi TraAttori a Fidenza/Piacenza facciamo 3 anni di corsi in cui noi professori facciamo e i nostri allievi si guardano e fanno stage di: match, imprò, bugiardini, boxeattori, gorilla, maestro, theatersport, long form, teatro classico e molto altro.

    Dato che di genitori ne hanno già avuti due, non decideremo mai per loro che cosa vorranno fare da “grandi”.

  5. Ciao Davide,
    quello che dici della guerra fredda è giusto, però ometti una responsabilità importante: quella degli improvvisatori stessi.

    L’Italia, è in una crisi morale e culturale e l’Improvvisazione non sfugge a questa crisi.

    Gli improvvisatori sono ignoranti: ignorano la storia delle loro macro associazioni (altrimenti nessuno leggerebbe il tuo interessante blog), ignorano la storia degli spettacoli che fanno, come sono nati e perché, e pendono acriticamente dalle labbra del loro insegnante.

    Non parlo dell’allievo, ovviamente, ma di quella massa che pur di fare i 4-6 spettacoli l’anno si vende la dignità e foraggia un sistema di posizioni di rendita consolidate nel corsodegli anni.

    Ti sembra normale un sistema che dopo 25 anni, che ha cominciato a esistere col Muro di Berlino ancora in piedi, ad oggi viva essenzialmente di due soli spettacoli: il Match d’Improvvisazione e l’Impro’ per gli orfani del Match (sulla cui origine taccio sennò t’impallo il server)?

    E questo perché?

    Perché gli improvvisatori accettano l’elemosina dei 4-6 spettacoli, del loro quarto d’ora di celebrità e ne sono soddisfatti, invece di farsi il loro gruppo e sperimentare.
    Non è solo la sede ciò che ti definisce, è la testa che hai.

    Quanta formazione è stata erogata i questi venticinque anni? Un monte. E per cosa? Per “Improvvisazione mista il cui titolo è…”, oppure per “1,2,3 Impro'”?
    Wow, venticinque anni ben spesi.

    Mi dirai: “Ma c’è il long form.”
    Come no!
    Quanti long form fa un’improvvisatore in un anno? Tre? Quattro? Impressionante!
    Senti improvvisatore che fa quattro spettacoli (long form compreso) in un anno: vieni da me a insegnarmi quello che hai imparato facendo in un anno quello che un attore fa normalmente in un fine settimana?

    Però la guerra fredda serve.

    Serve ad ingrassare il sistema delle scuole: mi paghi e io ti faccio fare lo spettacolo (mio). E nessuno pensa che sta pagando per ingrassare qualcuno. Anche qui non parlo degli allievi, ma degli amatori (geniale invenzione: tu fai lo spettacolo gratis e io incasso; e mi paghi pure!) che pagano fior di quattrini per lo stage col bravissimo insegnante straniero, per poi andare a fare spettacoli dove quello che ti ha insegnato viene svilito.

    Però guai a creare il proprio gruppo: costa fatica e poi il signorotto della sede locale non ti fa più fare li quattro-sei spettacolini l’anno. Perché rischiare una promettente carriera? Per cosa poi?

    Sto inventando? Quante scuole dichiarano apertamente agli allievi: “Dopo due anni vi levate dal cazzo e vi fate il vostro gruppo. Se volete rimanere con noi perché vi piace rimanete, ma tanto gli spettacoli della nostra compagnia non li farete mai, sappiatelo.”

    Anche quelli considerati come i Docenti Più Illuminati col cavolo che lo fanno questo discorso.
    E perché?
    Perché il tesoro dell’improvvisazione sta nei corsi, non negli spettacoli.
    E se l’allievo si fa il suo gruppo, dopo un po’ quel gruppo si apre la sua scuola.
    E a te – Docente Illuminato – dell’Improvvisazione in senso lato non interessa una benemerita fava, quello lo racconti ai boccaloni a lezione.
    A te quello che interessa è il soldo; perciò il tuo interesse vero non è che cresca il “movimento”, è che gli allievi restino da te e che portino da te i loro amici.

    E gli improvvisatori? Si ribellano? No, sono collusi con questo sistema: lo vedono, ma fanno finta che non esiste, perché si nutrono delle briciole che toccano loro.

    In Italia da sempre il micro rispecchia il macro in un gioco di specchi senza fine.

    Venticinque anni e chi c’è in Italia che faccia ricerca?
    Per ricerca intendo trovare una via italiana all’improvvisazione, perché andare all’estero o chiamare l’insegnante straniero per insegnarti ciò che oltralpe fanno da decenni non è fare ricerca, è formarti fare meglio quello che fai già. E solo chi è ignorante (nel senso di colui che ignora) può vedere in queste persone della ricerca.

    E infatti il rapporto Docente Illuminato-Improvvisatore è sempre acritico: vai da Tizio perché Tizio è bravo,senza domandarti cosa ci farai con quello che il Docente Illuminato ti ha concesso (pagando) di sapere. E il Docente Iluminato, circondato da discepoli ignoranti ed .adoranti, si convince che l’Improvvisazione è veramente quello che lui insegna.
    Perciò dovrebbe fare che? Ricerca? Ma il pubblico mi riempie la sala col il Barrare La Casella Match-Impro’ e io, una volta toltomi lo sfizio di farmi il mio format personale devo fare ricerca? Ma per chi mi hai preso, mica sono il CERN, invece di dire cavolate passami la Magliacolnumerosopra che i miei allievi si eccitano sessualmente quando entro in scena.

    E se dici “Bravo quel gruppo, bravo veramente; però sono i più bravi a fare quello che fate tutti, non ad esplorare una pista nuova nell’Improvvisazione per le generazioni future”, allora sei invidioso.
    Oppure l’interlocutore non capisce il discorso, perché per lui Match e Impro’ sono l’alternativa. O al meglio l’alternativa è tra MatchImproTheatresport e Long Form.
    Senza capire che se nessuno esplora veramente, mettendo a rischio il suo status di Docente Illuminato, potrà cambiare la cornice, ma il quadro dentro è sempre lo stesso.

    Però gli improvvisatori un po’ per ignoranza, un po’ per tornaconto ci vedranno un quadro differente.

    Il risultato finale di tutto questo quale è?
    Che in Italia l’Improvvisazione è uno stagno autoreferenziale, dove le idee non circolano, perché a insegnare sono sempre i soliti amichetti del responsabile di sede locale, perché prima viene l’interesse del responsabile di sede e della sua cricca e poi quello degli associati, perché gli improvvisatori fanno fatica a muovere il culo e andare nella propria città a vedere quello che fanno gli altri gruppi, figuriamoci andare nella città a fianco, perché se non vedi quello che fanno gli altri allora fai fatica a dubitare, se non dubiti non sperimenti e se non sperimenti allora te la stai raccontando.

    Te la racconti ai raduni, te la racconti ai corsi, te la racconti al pub con gli altri improvvisatori, te la racconti coi docenti e tra i docenti, te la racconti quando insegni e quando impari, quando sei sul palco e quando sei tra il pubblico.
    Perché il confronto con la realtà, su quello che è veramente l’improvvisazione, che fa male a chi la fa, ma – visto che la stai facendo male – agli altri fa peggio, è troppo duro.

    Il risultato è che in venticinque anni l’improvvisazione italiana è stata a masturbarsi senza essere stata capace di dare nessun contributo al Teatro italiano.
    E il Teatro è Cultura.
    E l’Italia si trova da anni in una crisi morale e culturale.
    E qui il cerchio si chiude.

    • Troppi spunti. Non basta una risposta, ci vogliono un altro paio di post!

      Telegramma: non la vedo così nera.

      Sarà utopia, ma credo che la condivisione delle conoscenze permetta di aumentare la consapevolezza e quindi di far scegliere a tutti quello che più si addice loro. Se questo tra un anno porterà ad avere uno che era un allievo e diventa più bravo di me e mi frega il lavoro non lo so, intanto io continuo ad aggiornarmi e ‘fare ricerca’.
      Se parallelamente continuo il processo di condivisione credo che il mio essere aggiornato possa essere riconosciuto, anche economicamente.
      In termini biechi: il mio tornaconto economico e la bresaola (54 euro al chilo) che mi mangio ogni settimana vive sull’autonomia, sulla soddisfazione e sulla crescita di consapevolezza di chi paga i miei servizi e le mie competenze.

      Certo che 54 euro al chilo è un’assurdità: di che cosa sono fatte ste mucche? D’oro?

    • Analisi perfetta, ti meriti un applauso. La sede dove ho fatto io il corso per i match e dove ero passata alla categoria “amatori” funziona esattamente così, si paga un pizzo per andare in scena ma per evitare che tutti se ne rendano conto si chiama quota mensile per il corso… Io mi sono stancata, ho mollato da tempo il giro e ora, additata come traditrice, mi trovo altre strade. Ma la “setta” è viva è vegeta si autoalimenta e, come scrivi tu, se la racconta.

  6. Si comincia per curiosità, si resta per passione, si rimane intrappolati.
    Quando comincia ad essere chiaro che l’associazione (nazionale e non) non è altro che un’azienda a gerarchia piramidale, dove quelli in alto mangiano su quelli in basso, e che beh… quelli in basso resteranno in basso… ormai è troppo tardi. Intanto c’è chi molla per stanchezza e chi passa ad altro per sfinimento.
    “Amatori”, ha ragione Kurtz, è un’invenzione che definirei berlusconiana (lasciatemi passare il termine nell’accezione meno politicante possibile) nei modi e nel ragionamento di base.
    Ci paghi per farci guadagnare. E se non ci paghi, mandiamo un altro a farci guadagnare.
    Attenzione, il discorso non è contro la gavetta o l’esperienza di palco che bisogna accumulare prima di essere “pronti” perchè è una cosa sacrosanta e molto utile ai fini di crescita sia personale che di gruppo, (a teatro a molla, il palco, è visto col binocolo e toccato col contagocce e per quanto si possa imparare ed essere bravi a lezione, la crescita sarà sempre molto teorica) ma del fatto che, se chi ti insegna a fare il pane è lo stesso che te lo vende ogni mattina, difficilmente ti dirà “da oggi puoi fartelo da solo”.

    Siccome la verità, spesso, sta nel mezzo, dov’è che sbaglio?

    • Credo nel dire che l’associazione è un’azienda piramidale dove quelli in alto mangiano e quelli in basso restano in basso. Se vogliamo usare la metafora aziendale quelli che definisci in alto sono i lavoratori dell’azienda e quelli in basso sono i clienti, che mangiano grazie a un altro lavoro e fanno mangiare quelli in alto perché scelgono di comprare il loro ‘prodotto’.
      Anche il “ci paghi per farci guadagnare” non mi è molto chiaro. Mi sembra logico che se paghi qualcuno quel qualcuno guadagna. Riferendosi agli spettacoli il discorso è abbastanza complesso: nella mia realtà (ma credo sia estendibile a tante realtà, non solo italiane) lo spettacolo è una minima parte delle entrate. Il guadagno si fa sui corsi, al limite gli spettacoli fanno pubblicità ai corsi. Che comunque sono alimentati soprattutto dal passaparola tra amici.
      Non ci dimentichiamo poi che l’organizzazione di uno spettacolo amatori è un lavoro. Che raramente è retribuito, o comunque giustamente retribuito.

      Per quanto riguarda la coincidenza tra insegnanti e attori invece sono d’accordo in linea di massima, come avevo scritto un anno fa in un altro post , ma come detto la maggior parte degli insegnanti (perché è questo che siamo, come professionisti) ha bisogno di fare spettacoli per promuovere la scuola.

      Nessuna trappola, insomma!

    • Cara Kristin,

      giusto per una precisazione:
      Da noi a Teatro a Molla un allievo di qualunque livello va in scena ogni 30 ore/tre mesi.
      Non so se si portino un binocolo.

      Credo sia buona norma firmarsi quando si fanno commenti così specifici, non fosse altro che per valutare l’attendibilità di chi scrive, non trovi?

      Antonio V.

      P.S.
      Bravo Davide!

      • Scusate l’intromissione, cara Kristin, ciao Antonio V. aggiungerei che ogni amatore resta una persona libera che può creare la propria compagnia/scuola/retrobottega/CRAL quando vuole e con chi vuole. Sarebbe ora di smetterla con le retoriche continue, ognuno nel suo. Io faccio il mio per cercare di “smontare” l’alone di sacralità dei “professionisti…” ma il mondo amatoriale (e ripeto non è una mala parola ma anzi resta un vantaggio) deve prendere atto che comunque organizzare uno show è un lavoro, non cade dall’alto e se dietro non ci fosse una struttura ad organizzarlo forse non lo farebbe lo show o lo farebbe in tono minore e le strutture hanno un costo. Resta sempre, per quanto mi riguarda, la porta aperta sia in entrata che in uscita.

  7. wow quanta carne al fuoco, ci sarebbe materiale per discutere ore ma purtroppo non c’è tempo. Intanto finalmente un post che mi permette di partecipare perché agli ultimi non avrei potuto per motivi noiosi e inutili da raccontare.
    Parto dalla premessa che i “blocchi” sono una invenzione dell’uomo e in quanto tale danno vantaggi e limiti e che ognuno liberamente sceglie e decide cosa fare e cosa farsene e detto che io sono considerato un eversivo all’interno del mio blocco vado al dunque: si intrecciano troppi discorsi a mio modesto modo di vedere e li seguo a caso…
    1) i blocchi limitano il confronto…
    Vero, verissimo e chi può dire il contrario? Nessuno. A mio avviso limitano però il confronto tra quelli che non vogliono confrontarsi o tra quelli che hanno qualcosa da temere dal confronto. Credo che chi voglia farlo, il confronto intendo, abbia la possibilità di realizzarlo e che nessun blocco potrà mai impedirglielo e se chi non lo fa adducendo la scusa “…poi non mi fanno fare più lo spettacolino…” sta dicendo un falso perché in realtà vuole dire solo “…non mi interessa in fondo più di tanto…”. La mia esperienza nella mia associazione dice che chi vuole può fare quello che vuole e non perde nessun posto negli “spettacolini” degli “amatori”. Certo se si diventa concorrenti non vedo perché si debba conservare un posto. Certo di nuovo che i due blocchi sono concorrenti al massimo all’interno della stessa città perchè come dice improvagante siamo (anche/soprattutto/solo) delle scuole e se hai una scuola anche tu mi stai facendo concorrenza quindi organizziamoci che abbiamo tutti il mutuo
    2) il docente illuminato…
    Chi è il docente illuminato? E’ possibile avere un elenco che ci vado due volte la settimana? Per come la vedo io ogni docente da/ha un punto di vista che ogni allievo sceglie di seguire o meno finché non ne vede altri. I miei allievi sono stati sempre spinti a vedere altro (li mando a vedere gli spettacoli dell’altro blocco cosa non reciproca almeno nella città dove lavoro…) e non mi ha mai spaventato il confronto men che meno con docenti di altri “blocchi”. L’errore del docente “illuminato” è quello di trasformare il suo punto di vista in Bibbia e quello dell’allievo è di trasformare il proprio docente del momento in profeta Isaia.
    3) gli amatori alimenta un sistema consolidato…chi mangia sugli altri…
    Ci sono degli “accordi” taciti accettati in partenza dai quali chiunque si può liberare in qualunque momento visto che si tratta di cose da adulti come i giornalini porno. Nessuno obbliga gli amatori della mia associazione a restare nella stessa…nessuno. Possono andare dove vogliono, fare ciò che vogliono e confrontarsi con chi vogliono. Francamente non so cosa accade nelle altre città ma dove lavoro io non è così. Certo c’è un accordo (tacito)…vuoi X? Costa Y. Non ci trovo niente di scandaloso francamente. Quanto al termine AMATORE, detto che non è una offesa anzi, concordo sulla strumentalità della invenzione…bisognerebbe forse trasformarlo in “BRAVO” e “NON BRAVO/MENO BRAVO/NON ABBASTANZA BRAVO/CANE BRACCO/ETC.ETC.” ma questo si che metterebbe in discussione il sistema perché farebbe cadere tante di quelle teste (magari pure quella di scrive) che la metà basta…ribalto però…questa è l’unica attività che viene fatta “professionalmente” anche da chi fa un’altra professione e questa cosa io non la condivido. Non è l’unico né il più grosso, ma certamente è un motivo della pochezza dell’improvvisazione rispetto al (con pugno in fronte) teatro ufficiale e resto dell’idea, ad ora, che visto che sali su un palco ci devi saper stare e se insegni una cosa devi sapere di che si sta parlando sempre restando che si è liberi tutti di fare ciò chee si vuole.
    4) crisi culturale italiana…
    E come fai a dire di no. C’è, è grande, ne è piena l’aria e questo inevitabilmente cade anche sull’improvvisazione teatrale. Io ho la sensazione però che più si vada avanti più cresca la consapevolezza culturale degli allievi e la chiarezza (non in tutti ovviamente…) del motivo per cui “fai improvvisazione” e dove vuoi andare.
    5) esplorare…
    Ognuno trovi la propria ricetta. Per me esplorare è prendere quanto più possibile dal “teatro ufficiale” e mischiarlo con l’improvvisazione cercando di crescere io come improvvisatore, attore, autore, regista, “muovitrore” di emozioni miee degli altri e dal “teatro ufficiale” prendo ciò che voglio e ne faccio ciò che voglio e ciò che credo mi serva. Per un altro sarà esplorare se stesso e le proprie emozioni e limiti. Per un altro ancora sarà adattare un modello visto da un’altra parte alla propria realtà. Per un altro ancora sarà fare pernacchie e peti sonori…chi può dirmi come e cosa devo esplorare? E aggiungo, perché se tizio non ha voglia di esplorare dovrebbe essere “obbligato” a farlo? Forse chi non esplora non si confronterà con chi lo fa in quanto non smuove la sua curiosità…forse.
    6) concludo e mi scuso per l’intervento abbondante…
    A me non piace il DOGMA. Non credo che i “blocchi” siano la verità scesa in terra e non credo che chi sta fuori dai blocchi sia la verità scesa in terra nè credo che i docenti illuminati (manco i guru stranieri…) siano la verità scesa in terra. Ognuno ha la libertà di scegliersi il percorso che crede e che gli sembra più utile. Le organizzazioni hanno, ripeto, dei vantaggi e dei limiti tanto è vero che alcuni che sono usciti dalla porta del blocco X vi sono rientrati dalla finestra, altri sono usciti dal blocco Y per crearne un altro, altri ancora sono usciti dal blocco Z per restare autonomi per sempre o magari per rientrarvi il momento in cui ne vedranno la necessità…è solo un motivo di opportunità e anche questa non è una offesa o una MALA parola.
    Si può stare dentro o fuori i blocchi ma per me l’importante è che non si creino automatismi o peggio moralismi della domenica…vista la storia dell’improvvisazione italiana che a grandi linee conosco e mi fermo.

  8. Il ragionamento è giusto, essendo due scuole diverse, sono concorrenti per il mercato, quindi si alzano muri virtuali. Vale per qualsiasi tipo di scuola artistica. Lo studente se vuole può approfondire tranquillamente, in fondo porta soldi e nessuno gli dirà nulla. Credo che tutte le realtà presenti sul territorio offrano una buona base di improvvisazione e non c’è bisogno di saltare da scuola a scuola per approfondire le proprie “ricerche”. Più interessante è seguire le offerte di workshop teatrali che possono fornire all’improvvisatore sempre più strumenti utili per diventare improvvis-attore.
    Il mondo dell’improvvisazione è un pò come quello della musica. C’è chi lo fa per diletto e chi vuole farne una professione. Quando vai a vedere lo “spettacolino” con 30 spettatori è come andare a vedere nel pub sconosciuto l’amico che suona col gruppo. Poi non puoi vivere di soli spettacoli, per quello che si guadagna e per l’affluenza di pubblico, gioco-forza devi anche essere formatore; ecco che si uniscono i due mondi. L’improvvisatore bravo, sul palco sfrutta le sue capacità per ottenere visibilità e avere potenziali allievi. Lo studente bravo sà che nessun singolo insegnate gli cambierà la vita, ma la somma di tutti loro sì.

  9. Post interessante, ma, caro Improvagante, ti dimentichi che le divisioni non nascono per massimi sistemi ma perchè le persone litigano.
    Noi c’eravamo quando successe il Grande Scisma, c’eravamo quando venne messo in scena il precursore dell’Imprò, tra l’altro secondo me “Spettacolo Divertente” era un nome molto più bello.
    E abbiamo vissuto questa cosa come una grandissima liberazione dal “tiranno”.
    A distanza di anni mi ritrovo a fare spettacoli per il “tiranno” perchè ho litigato coi “buoni”.
    Ora non mi è più chiaro chi sia He Man e chi sia Skeleton…
    Tutto questo mi fa molto ridere, ma più o meno è andata così.
    Le persone litigano, è naturale. E si portano dietro le proprie associazioni.
    Il tempo dirà se si è trattato di scelte lungimiranti o no.
    Al povero Kurtz viene da rispondere “ehi fratello, calm down!”
    Il presente non è così nero e per fortuna siamo in Italia, dove volendo puoi fare un po’ come ti pare.
    Ho visto cose…
    Ma sappi che ci sono compagnìe che non rispondono al tuo scenario.
    Non è pubblicità alla mia compagnìa, ma è un dato: noi non abbiamo un gruppo di “amatori”. Al termine del nostro percorso didattico i nostri ex allievi sono liberi di fare quello che vogliono, ma hanno nella “casa madre” un punto di riferimento per trovare spazi, insegnanti e quanto altro possa loro servire.
    E se un giorno saranno più bravi di noi sarà perchè noi ci saremo rincoglioniti o seduti.
    I nostri allievi vanno a vedere quello che gli pare, una nostra allieva organizza liste per vedere qualunque spettacolo portando 20/30 persone a botta (e buttale via).
    Non siamo gli unici. I nostri amici Traattori fanno così.
    Siamo una compagnìa che fa ricerca. Ogni anno produciamo almeno 2 spettacoli nuovi legati a percorsi fatti e a collaborazioni varie.
    Non siamo gli unici: Bugiardini, Rubik, Teatro a Molla, Traattori, per citarne solo alcuni.
    Ma siamo pieni di problemi, dubbi e necessità come tutti gli altri.
    Credimi, conosco questa insofferenza verso i vertici e l’ho provata in prima persona quando ho deciso di fare di testa mia.
    Ma col tempo ho capito che si trattava di insofferenza per piccole questioni di potere.
    Per fortuna ci sono un sacco di improvvisatori in tutta Italia e nel mondo per fare un sacco di belle cose. L’ironia è che è più facile farle a 300 km di distanza che nella propria città, ma che ci vuoi fare?
    Siamo improvvisatori: in qualche modo facciamo.
    Mauro

    p.s. Improvagante, la compagnia si chiama B-Teatro non boxeattori! Guarda che non ti chiamiamo a fare lo stage ai nostri allievi privati! ihihihihih

    • Grazie per la testimonianza.Mauro. Condivido tutto.
      Non ho messo apposta come facciamo da noi a Milano. Il tentativo è di tenere la scuola e l’associazione vive e solide, allo stesso tempo dare autonomia agli amatori. Ci proviamo.
      Correggo subito il nome del gruppo, quindi il tuo p.s. sembrerà il vaneggiamento di un pazzo!

    • Ciao Mauro, ti rispondo ché c’ero anche io al momento del grande scisma e del “ALLORA T’INCULO…” che aprì il primo “molto più teatrale IMPRO’…”. Io credo in sostanza tu abbia ragione, le persone si dividono perché litigano, a vario livello, e/o per sete di potere o indipendenza. I massimi sistemi c’entrano poco, quasi niente vorrei dire, e ancor meno la qualità che quella la fanno come al solito le persone. Sento di persone che prima erano considerate non brave e adesso sono bravissime e viceversa…sorrido. Seguo la tua risposta a Kuntz…il presente non è così nero forse lo è stato il passato ed è per questo che non bisognerebbe arrivare a tali punte di “moralismo”. Anyway

  10. Ciao a tutti,
    grazie ad improvagante per il blog perchè anche se alcune cose non le condivido è sempre molto utile confrontarsi.
    Sula contrapposizione dei blocchi non sono così d’accordo, quando le due associazioni si sono divise (lascio perdere i motivi e le condizioni economiche perchè forse per alcuni ci sarebbero sorprese, visto che alcuni di quelli che hanno rifiutato ed hanno scelto di andarsene non hanno mai visto il contratto) ognuno ha fatto il suo spettacolo ed i suoi corsi, io posso rispondere per quello che ho fatto, non mi sono mai permesso di dire ad un allievo se fai lo stage od il corso con un altro sei fuori, perchè chi viene ad un corso di teatro (perchè ragazzi di questo stiamo parlando non di come si salva il mondo!!)è liberissimo di scegliere, paga la sua quota ed io cerco di spiegargli quello che so, senza avere la pretesa di essere un guru perchè sarei davvero messo male, se ritiene che questa cosa gli piaccia rimane, altrimenti sceglie un altro corso, sì anche in contemporanea, e non mi sembra davvero che ci sia nulla di male. Alcuni allievi che frequentano le nostre scuole sono andati ai raduni imprò a pandora e viva Dio perchè le persone competenti ci sono da una parte e dall’altra e nessuno è stato buttato fuori.
    Per gli amatori, rispondendo a quello che diceva Kurt, anche qui bisognerebbe conoscere un po’ le cose e fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato, io per esempio a Brescia lascio l’incasso al teatro interamente quindi per noi è un costo secco (trasferte per la benzina, musicista, pubblicità…)che ci consente però di avere una collaborazione stretta con il Teatro centro Lucia e garantire agli amatori un costo basso per la scuola, che poi si è liberi di frequentare o no.
    per i professionisti credo che il concetto sia completamente diverso, se pago una persona per fare una cosa scelgo io chi mi piace di più,almeno la scelta dei collaboratori lasciamocela.
    Io ho insegnato quest’anno a Rubik Teatro, fatto spettacoli e formazione con qualcuno dei bugiardini e fatto spettacoli con quelli di b-teatro, e con Teatro a Molla ci siamo sentiti tempo fa per non sovrapporsi con gli spettacoli su una città per cui molto spesso la contrapposizione è solo per raccontarsela.
    Scegliere di avere un nemico (vedi maglie con scritto AREStatelo, che personalmente trovo geniale, ma abbastanza rappresentativa dell’atteggiamento) è appunto una scelta, per me il lavoro è cercare di fare bene il proprio, se qualcuno dice quello che v’insegno io è l’assoluta verità, cambiate corso tranquillamente.

  11. GRAZIE! Hai scritto cose che qualcuno doveva scrivere da tempo. Leggo nella pause del lavoro e commento molto volentieri.

    UNO CHE HA 24 ANNI E DENTRO AL CIRCUITO MATCH C’E’ DA QUANDO NE AVEVA 16!
    G.

    • Basta molto meno Luigi, per non giocare basta avere il coraggio di chiedere chiarimenti sul corso per sapere perchè il percorso presentato all’inizio dell’anno è stato completamente ignorato.

  12. In alcune scuole per fare match devi rompere il caxxo ai selezionatori. Che usano quello come criterio di selezione : chi gli rompe piu’ il caxxo cosi’ dopo sta zitto.
    La beffa e’ che questi si vantano pure di quanto ottengono!

  13. Sapete qual è una questione?E’ che, per far funzionare un format di improvvisazione, vecchio, nuovo che sia, ci vogliono attori che sappiano farlo funzionare.Spesso tendiamo a dare la colpa al “sistema”, è piu’ facile.Dovremmo, tutti, riflettere invece sul fatto che troppi, troppi improvvisatori, una volta che salgono su un palco e si beccano l’applauso di 300 persone, si credono dei padri eterni.Si credono degli attori.Si credono degli insegnanti.Il Match (faccio l’esempio del Match perchè, nell’ambito dell’improvvisazione è quello che faccio), che è un giochino meraviglioso,rispetto al teatro classico ti illude molto di piu’ di essere figo.E spesso questa sensazione, sbagliata, acceca.Se io avessi in mente un format veramente figo, cercherei di farlo e di realizzarlo.Poi mi chiederei: ho le capacità tecniche di portarlo in scena?E gli altri attori con me?Io non mi considero un fenomeno, ma forse aver frequentato, in vari anni, diversi corsi di teatro tradizionale, mi hanno aiutato a non dare tutto per scontato e a rimanere un po’ di piu’ con i piedi per terra.Io non credo ci sia tutto questo osteggiare che vedete.Credo che, a volte, per volare da soli, manchino semplicemente le competenze.

    • Io non solo sono d’accordo con te, ma addirittura richiederei piu’ onesta’ nelle scuole d’improvvisazione.
      Come per le scuole di teatro : 2 o 3 anni di corso poi arrivederci, se vuoi entrare in pianta stabile ci sono i casting.
      Oppure sei libero di tentare un tuo progetto.

    • Giustissimo: per andare in scena (con un pubblico pagante) ci vuole competenza e la preparazione.
      Ma proprio per questo non si capisce come mai ci siano insegnanti che che dopo due anni (a volte anche meno) di corso (2 ore a settimana per 6/7 mesi l’anno) mandano tutti gli allievi in scena davanti a centinaia di persone, li fan sentire attori e continuano a farli recitare finchè non esprimono qualche perplessità o obiezione sul proprio corso/associazione, da li in poi tutto cambia e in scena non vanno più.

      • @L’onesto
        Potrebbe essere una cosa da prendere in considerazione, anche se, i provini di cui parli, secondo me avvengono già: sono le scelte dei direttori artistici, che valutano gli attori e, a seconda del loro stato di forma, decidono se portarli o no in scena.Ed è chiaro che, un direttore artistico, sarà sempre contestato.E, sinceramente, credo sia un aspetto ingrato, quello di decidere, io non vorrei mai essere nei loro panni.Poi, ascolta, se uno non crede in un progetto, se uno è scontento perché pensa che il progetto non ci sia, se uno è stanco di pagare il corso, se uno non è d’accordo su questo e su quello, certamente può prendere e andarsene.Non credo che ci siano pistole puntate alla tempia.Vorrei farvi l’esempio che mi riguarda: ho fatto i miei due anni di corso, poi sono rimasto, poi ho mollato un anno per andare a Milano a fare un corso, poi sono tornato, poi mi è capitato di fare qualche jam session al di fuori dell’associazione (importante: avvertendo la direzione)In tutto questo, non solo non sono stato sbattuto fuori, ma ho continuato a fare i miei Match e continuo ad insegnare.@liberatutti: non sono d’accordo sul fatto che è l’ superiore a far sentire attori gli allievi.Credo sia necessaria, in primis, una giusta coscienza di sé.Personalmente nessuno mi ha mai esaltato, anzi: mi è capitato di stare fuori da Match in cui, ovviamente, tenevo, mi sono fatto due domande e ho cercato di lavorare per guadagnarmi il posto in quello successivo.Anche a me, ormai anni fa, è capitato di essere mandato in scena quando non avevo ancora finito il secondo anno.Non mi sono mai sentito superiore, per questo.

    • Ciao Alessandro.
      Secondo me @L’Onesto parlava di provini veri, magari fatti da gente che non ti conosce e che ti valuta sulla base dell’investimento che si più fare su un attore.

      Un insegnante (che è anche direttore artistico o dirigente dell’associazione) che ha seguito per tanto tempo uno studente fa una valutazione in base al suo percorso (questo percorso tiene anche conto del fatto che quell’attore ha pagato insegnante e dirigente per essere li) e magari una valutazione sui risultati raggiunti sarebbe più adatta.

      Ho usato la parola investimento prima.
      Siamo sicuri che si investa realmente sul materiale artistico delle associazioni?

  14. Mi ero perso la marea di commenti, che sono interessanti tanto quanto l’articolo…

    Sicuramente il concetto di amatore è diabolico al punto giusto: Pago 2-3 anni un corso e poi spero con tutto me stesso di poter lavorare aggratis e far guadagnare l’associazione ( perché di questo si tratta Se faccio uno spettacolo per un pubblico pagante).

    Ma è altrettanto vero che nessuno ti obbliga a farlo.. O meglio, implicitamente tutti sappiamo COSA ti obbliga: il fatto che quel palco è una ficata, e che l’improvvisazione è una droga.
    Il giochino è chiaro fin dalle prime lezioni, quindi le coscienze dei capi sono a posto…
    Ma che succede poi? Che ci si trova ad avere un gruppo più o meno folto di amatori che celano il loro scontento ( chi più chi meno) per paura che una parola sgradita al direttore artistico li faccia scendere in graduatoria e -Dio non voglia- gli faccia perdere uno spettacolo… Potrei fare anche i nomi di AMATORI (in diverse associazioni eh) epurati dalle liste per essere stati in disaccordo con i rispettivi direttori su qualcosa…e non per demeriti artistici

    Ma non condanno questa scelta dei direttori , Penso che sia più che umana, ma porta a dinamiche malate… Come risolverei la cosa se fossi io il capo del mondo? Con la chiarezza. Perché non giriamoci intorno, ogni direttore artistico sa quali improvvisatori hanno possibilità di crescere, quali sono mediocri e quali non vorrebbe avere tra i piedi.

    Basterebbe dirlo ai ragazzi ( perché si,non è così evidente x tanti) Ma poi certo, la quota mensile e gli amici trascinati agli spettacoli fanno comodo…

    Tra i “professionisti” poi le dinamiche sono ancora più malate… Ma ho già espresso troppo la mia opinione, e qualcuno la settimana scorsa mi ha insegnato che “i panni sporchi vanno lavati in casa” 😉

  15. Volevo dire tante cose che sono già state dette nei commenti precedenti.

    Io ho mollato poche settimane fa il progetto match (di cui sono innamorato follemente) per motivi personali ma anche per l’incrinarsi dei miei rapporti con il direttivo della mia associazione. Necessitavo di più trasparenza. Nei progetti, nei conti e nei rapporti interni all’associazione.

    Credo che chi di dovere, leggendo questi commenti, debba farsi delle domande sulle scelte che sono state fatte in questi anni e chiedersi se la direzione artistica di qualunque progetto d’improvvisazione sia stata presa per proteggere un piccolo pantheon di persone o se quelle scelte sono state prese per dirigere realmente il materiale artistico che arrivava gratuitamente, anzi, pagante, all’interno delle associazioni.

    E’ una rara fortuna avere così tanto materiale ed è un peccato mortale doverlo limitare al pagamento di una rata scolastica.

    Sarebbe bello mettere sul tavolo del dibattito i temi dell’improvvisazione, sarebbe bello che quel dibattito fosse aperto e trasparente. Mettere nero su bianco l’organizzazione e la direzione dell’attività d’improvvisazione teatrale in Italia sarebbe un ottimo inizio.

    La domanda sorge spontanea.
    Ce n’è l’interesse? Una cosa è certa. Di gente che vuole dire la sua ce n’è.
    Lo dimostrano i commenti in questo post.

    G.

  16. Leggo e rifletto e penso: forse servono ruoli più chiari. chi sono gli attori, chi sono i registi, chi sono i formatori, chi sono i gestori… non si nasce in nessuno di questi ruoli. Davide L’Omino ha ragione da vendere: il palco (e con l’improvvisazione, piccola nicchia) è una maledetta droga. conosco molti di voi che avete scritto e commentato e so quale passione ci anima.
    lascio uno spunto che ho in mente da un po’ e ho condiviso con Simone L’Onesto: forse siamo in un punto in cui potrebbe esserci spazio per un raduno di formazione in meno e uno di organizzazione (per compagnie) in più.

    Inoltre, vedo anch’io con favore una struttura dove scuole e compagnie sono mondi comunicanti (all’inizio) ma distinti, e dove ci sono casting.

    e grazie Davide per questo prezioso blog 🙂

    • Magari Yakko! MAGARI!
      Sarebbero giornate che cambierebbero il modo di concepire l’improvvisazione e potrebbero essere d’esempio per gestire “l’impresa teatro” in Italia che non se la passa comunque poi così bene.
      Le individualità e la voglia di fare ci sono.

  17. Mamma mia….!!
    Seguo questo blog con interesse e mai avevo notato così tanti commenti per altri post ( a mio avviso anche più interessanti).
    Penso che questo sia segno del fatto che questo argomento sia sentito e stia a cuore a molti.
    Sta di fatto che in un quadro così nero come quello che evinco dai Vostri post, mi sento in dovere di portare anche la mia esperienza.
    Premetto che sono un neofita dell’ improvvisazione e che sono sbarcato in questo mondo poco più di 3 anni fa grazie alla compagnia dei TRAATTORI e, soprattutto, grazie a Marcello Savi che ha avuto il coraggio e la perseveranza di far approdare l’ improvvisazione in una città piccola, nebbiosa e chiusa alle novità come Piacenza.
    Dopo tre anni di corso quest’ anno, insieme ai miei compagni, abbiamo fondato la nostra compagnia, LE VISSOLE, che ha già all’ attivo diversi spettacoli (tutti amatoriali, ovviamente).
    Tutto questo senza alcun dissidio con chi fino ad oggi ci ha elargito lezioni, ma anzi, con collaborazione.
    Durante gli ultimi tre anni, abbiamo incontrato diversi insegnanti, ogniuno con la propria storia e ogniuno con la propria idea dell’ improvvisazione.
    Abbiamo visto passare sul palco del nostro piccolo teatrino tantissime compagnie provenienti da Torino, Bologna, Reggio Emilia, Roma, Milano,Parma…ma nessun MATCH, nessun IMPRO.
    Ogni compagnia portava la sua idea, il suo spettaccolo, la sua improvvisazione…
    Quello che mia ha fatto “invasare” dell’ improvvisazione è stato proprio il fatto che non ci fosse una formula, una verità, una cosa giusta.
    Ogniuno può liberamente interpretare e fare.
    Quindi, mi scuso, se sono andato fuori tema, ma mi sembrava doveroso condivire con voi che in questo bellissimo ambiente esistono anche altre piccole realtà oltre alle scuole che si fanno “la guerra fredda”.

    • Penso che la maggior parte di chi è cresciuto nelle due grandi scuole della guerra fredda abbia anche lavorato in alcune delle piccole compagnie di cui tu parli.
      Sono piccole realtà dove le poche regole che ci si impone, se condivise le fanno funzionare più che bene. 🙂 Belle esperienze insomma. Non lo nega nessuno.

      Io credo però che il dibattito sulle grandi scuole della guerra fredda sia interessante per le enormi possibilità di crescita che potrebbero creare.

      Esempio:
      Si potrebbe avere un’organizzazione nazionale che gestisce i contatti con l’estero. Io dopo 8 anni d’improvvisazione non ho capito ancora se esiste una regola o una persona o un organico che pianifica l’interscambio con l’estero.

      Sono stato in Francia a recitare solo una volta. Ho visto la squadra Canadese d’improvvisazione…avevano una ventina d’anni. Scelti fra i corsi scolastici per partire dal Canada e viaggiare in Europa qualche mese a giocare match spesati e pagati. Io alla fine di quell’esperienza tornavo a casa. Loro continuavano a viaggiare per l’Europa a recitare sui palchi del mondo.

      Allora avevo quell’età circa…vitto e alloggio erano pagati dall’organizzazione francese, il viaggio me lo sono dovuto pagare io, o meglio, me lo hanno regalato i miei genitori. Non mi sembrava vero che per qualcuno come me potesse esistere l’opportunità di partire per mesi con studenti d’improvvisazione miei coetanei e girarsi il mondo a recitare. MA CHE DIAVOLO DI PROGETTO FORMATIVO PAZZESCO E’?

      CI RENDIAMO CONTO DI CHE DIAVOLO DI OPPORTUNITA’ POTREMMO DARE A CHI STUDIA L’IMPROVVISAZIONE SE SOLO AVESSIMO UNA DIREZIONE UN PO’ PIU’ CHIARA E FINALIZZATA ALLA CRESCITA DEGLI ASSOCIATI?

      Serve qualcuno che sappia scrivere progetti per chiedere fondi europei, non voglio credere che organizzazioni che lavorano su una scala territoriale così grande non riescano a far capire agli uffici competenti (europe direct per esempio) che quella che potremmo dare è un’opportunità unica.

      Sono certo che non sia così facile…ma lavorando e crescendo con una gestione più chiara più precisa ci si può provare. Se ci si arrende in partenza ci si gioca un’opportunità.

      Ho smesso d’improvvisare per questo motivo.
      Non avevo più prospettiva.

      Giacomo.

      • Giusto per conoscenza…. all’interno della rete Match, dopo qualche anno di gestazione, Alberto Ceville ha da poco assunto l’incarico di Responsabile Match all’estero. E’ stato organizzato uno stage-raduno proprio lo scorso weekend del 14/15 dicembre, volto alla creazione di un gruppo che possa rappresentare l’Italia nei Match all’estero, sotto la direzione artistica di Alberto (perciò probabilmente lo stage/raduno sarà riproposto con cadenza regolare una-due volte l’anno). Qualcosa si muove….

  18. Dopo un breve briefing coi colleghi vi dico che :

    Se vogliamo incontrarci e parlarne noi 5Dita mettiamo a disposizione i nostri spazi.

    Potremmo parlare di come sviluppare l’idea di Yakko, o di quali spettacoli proponiamo o, semplicemente, conoscerci un attimo di piu’.

    L’intenzione non e’ di valutare un “riot act” verso le 2 macroaree, ma cercare di sviluppare una rete che si basi sulle compagnie di improvvisazione, non sulle scuole.

    ilbonetti at gmail punto com

  19. Siamo tutti d’accordo che con questo post Davide abbia toccato un nervo scoperto.
    Bello che tante persone abbiano voluto dire la loro.

    Che faccio, solleticato da Davide L’Omino non aggiungo l’ ulteriore punto di vista del cosiddetto “professionista”?
    (e sei professionista perché giochi nei “professionisti” o perché mangi la bresaola?)

    Ciascuno di noi, ognuno a suo modo ha affrontato e sta affrontando le conseguenze di questa che in maniera molto pertinente viene definita “guerra fredda”.

    Personalmente ho sempre trovato detestabile il fatto che un artista o lavoratore dello spettacolo se preferite, venisse “incasellato” e quindi invitato o meno ad uno spettacolo non in base a quello che è in grado di comunicare, ma in base ai seguenti criteri:

    – il possesso di una tessera
    – l’aderenza ad un movimento
    – la volontà di portare nella propria città un determinato format
    – quanto sta sul ca**o agli amici (leggi affiliati) di chi deve convocare il tapino di cui sopra
    – eccetera, comunque gira gira –> $

    Quello che vedo io dal mio parziale e opinabile punto di vista e che moltissimi “improvvisatori” (tra virgolette perché ‘sta definizione vuol dire tutto e niente) hanno pagato a caro prezzo la loro ignoranza, trincerandosi dietro le loro belle sicurezze, gli incassi, i corsi, i complimenti, il successo.

    La scoperta che gli attori locali potevano mettere in piedi un bello spettacolo, senza bisogno dei “professionisti” da fuori città ha portato una bella vertigine e tanto entusiasmo, molti ne hanno approfittato per cercare una strada nuova, ma molti sono rimasti impantanati nei soliti giri.

    Sono stati anni orrendi, non solo per chi ha scelto di non “schierarsi”, ma perché di fatto convocare degli attori diversi da quelli che passava il convento voleva dire rischiare di fare arrabbiare qualcuno.

    Poi dall’estero hanno iniziato ad arrivare attori leggendari e finalmente si è potuto portare una ventata d’aria fresca nei propri spettacoli aggirando l’ostacolo!
    Et voilà, ancora qualche anno di benzina.

    Eppure era questione di tempo prima che costoro dopo averci osservato ci dicessero cose che già sapevamo.
    Ovvero che eravamo tutti divisi, in competizione e che non erano chiari i criteri di collaborazione fra quelle che nominalmente erano delle libere compagnie di teatro.

    “Eh già però hanno proprio ragione”, eh sì perché se vieni dall’estero hai comunque più ragione e sei comunque più figo.
    E sapete una cosa: E’ VERO.
    E sapete perché?

    Perché noi ci sentiamo sempre meno di tutti, perché ci hanno sempre considerati i figli minori del TTTTeatro e come se non bastasse ci portiamo il fardello di questa spaccatura ce la sentiamo addosso, come un tatuaggio che ci siamo imposti per poterci dare un’identità, ma che per molti è diventato un marchio da bestiame.

    Eppure non è così.
    Chi è stato all’estero sa la stima e la curiosità che c’è intorno a noi.
    Vedo tanti bravi artisti, docenti ispirati, attori di talento.
    E sono veramente ottimista perché vedo (e questo blog e solo uno dei segnali positivi che percepisco) una grande voglia di imparare, comunicare, relazionarsi.

    Se collaborassimo un po’ di più, e per quanto mi riguarda sta già succedendo potremmo cambiare le cose.

    Aggiungo una cosa poi levo il disturbo, che scrivere ‘sti papiri è criminale.

    L’improvvisazione NON E’ UN PRODOTTO in serie da esigere sempre uguale dal tuo negoziante di fiducia.

    Molte polemiche nascono semplicemente perché ho fatto il corso con X dove c’erano determinate regole e ora vado da Y e mi aspetto la stessa cosa.
    Non è così.

    L’improvvisazione è una disciplina (e un ripasso della parola ci può far bene a tutti) e ognuno la utilizza come meglio crede.
    Le realtà che esistono oggi in Italia sono DIVERSE, e ognuna ha il sacrosanto diritto di imporre le proprie regole.

    Posto che esistano prima di tutto trasparenza e correttezza.
    E in molti lo hanno ribadito, se non mi piace, posso andarmene.

    Ma l’ego, eh l’ego….

    E a proposito di ego, non voglio farmi pubblicità. Ma le occasioni di incontro già esistono, e se davvero l’interesse c’è troveremo il modo di trovarci, parlare, collaborare.

    Altrimenti vuol dire che ci va bene così.

  20. Mammamia!!!! Mi si é aperto un mondo di cui non ero a conoscenza..!

    Quella che segue é una testimonianza alla “Goodbye Lenin”, ma al contrario.

    Vivo all’estero, in Svezia, dove vari anni fa sono entrato in una compagnia di teatro in lingua italiana. Teatro “tradizionale”, per intenderci, con i pregi e difetti che questo comporta. (Non avete idea di quanto le comunità italiane all’estero siano numerose e composte sempre più da giovani). Qui ci servono attori bravi, volenterosi e pronti a lavorare per offrire uno spettacolo di qualità con l’obiettivo massimo di coprire le spese di affitto del teatro, andare in scena un paio di volte l’anno e beccarsi quel benedetto applauso alla fine.
    Per questo motivo ci sosteniamo con secondi lavori e i nostri corsi sono tutti gratuiti.
    E’ bellissimo.

    Qualche tempo fa abbiamo deciso di iniziare a cimentarci con il match, all’inizio più come esplorazione ed esercizio ulteriore (abbiamo comunque da sempre elementi di improvvisazione nei corsi formazione, e i docenti hanno buone basi di improvvisazione, sia teorica che pratica), dietro mio suggerimento, memore dei match a cui ho assistito a Bologna, nel periodo boom degli anni ’90.
    Come ha detto qualcuno nei commenti, nulla vieta all’ultimo arrivato di mettersi lì e fare da solo. E noi stiamo facendo esattamente così.

    Per cui abbiamo iniziato a documentarci partendo dai ricordi di quel periodo. Con mia sorpresa ho ritrovato nomi e facce che conoscevo, e da lì sono arrivati i testi, i workshop con colleghi anglofoni residenti qui (che però seguono theatersports), e l’integrazione con quanto già di improvvisazione conosciamo.

    Poi vado a sfogliarmi i video degli ultimi mondiali e trovo un’ altra associazione a rappresentare l’Italia, che ritrovo anche su raiuno. Inizio ad avere dei dubbi… ed eccomi a questo post, che chiarisce quello che oramai avevo intuito successo. Molte cose, dette soprattutto nei commenti, mi rimangono oscure, visto che non essendo all’interno delle vostre dinamiche non posso cogliere tutti i riferimenti (anche se alcuni sono abbastanza chiari).

    A questo punto sono davvero molte le domande. Mi limito a una (spero di non essere troppo esplicito, ma non saprei come altro scriverla..)
    Come mai il gruppo legato al possessore ufficiale del copyright “match di improvvisazione teatrale” non ha partecipato al match mondiale 2014 (se non ho capito male da quanto ho trovato in rete )? Se non sbaglio li ha ospitati nel 2012, giusto (O c’e’ uno scisma anche internazionale)?

    Da quanto capisco, impro’ é ora in grande spolvero, con molte sedi nazionali e le apparizioni regolari in tv, mentre match mi sembra più relegata a realtà locali, in particolare a quella toscana.

    Questo detto da uno che si é risvegliato dopo dieci anni e ha trovato un muro che prima non c’era. Che peccato.

    Grazie mille per il blog. Ora che l’ho scoperto lo frequenterò assiduamente…

    Ciao

    D

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