Longform e shortform
Come mi ero ripromesso nel ’70, parliamo delle definizioni di longform e shortform.
Perché c’è confusione a riguardo, ah, se c’è confusione a riguardo.
Tanto per cambiare la distinzione nasce in America, dove il lavoro di Del Close su spettacoli liberi, senza strutture di giochi predefinite o l’ossessiva ricerca della risata del pubblico porta alla nascita di Harold, che è stato il punto di partenza della scuola di improvvisazione di Chicago e, in parte, di tantissime istanze europee.
Ma cos’è una longform? Qui ci sono diverse interpretazioni.
La longform, in teoria, dovrebbe essere uno spettacolo lungo. Da cui il nome. O meglio, più lungo. Di cosa? Di una shortform, ça va sans dire! Ora, in USA l’Harold raramente dura più di 30 minuti. Ma una shortform, come possono essere gli spettacoli stile Match o Theatresports, dura molto più di 30 minuti.
Quindi?
Si potrebbe pensare che la longform è uno spettacolo che contiene storie più lunghe delle singole improvvisazioni che compongono uno spettacolo di shortform. Ma anche questo non è vero, perché in un Harold, ad esempio, le singole storie durano poco. Nell’Harold american-style, dove ci sono in genere 3 storie che si alternano per 30 minuti, il conto è presto fatto: ogni storia dura circa 10 minuti. Poco long.
La differenza sostanziale tra gli spettacoli definiti di longform e quelli definiti di shortform non ha a che fare con la durata, ma sta nella quantità di volte in cui qualcuno degli improvvisatori si rapporta col pubblico rompendo la quarta parete. In sostanza, quante volte si chiedono al pubblico spunti per le improvvisazioni. Se il numero è minoreuguale a 1, allora si tratta di longform. In caso contrario abbiamo le shortform.
Questo, inconsapevolmente, il significato delle definizioni.
Ma cosa è percepito in realtà? E in Italia cosa diciamo?
In Italia la ‘longform’ (a questo punto del post le virgolette sono d’uopo) arriva insieme al Match, come se fosse un altro modo di improvvisare, con sue dinamiche proprie. Ricordo la prima rappresentazione di un Harold, all’europea, quindi senza un numero fissato di storie, a Bologna, nell’estate 2003. Fu sconvolgente, come se finalmente le risposte alla domanda: “ma l’improvvisazione può essere ‘più teatrale’?”. All’epoca avevo 20 anni, dei sogni e un lessico semplice. ‘Teatrale’ voleva dire un sacco di cose.
Dopo 10 anni e mezzo non è cambiato tantissimo. ‘Longform’ in Italia è un’etichetta che indica lo spettacolo di improvvisazione ‘più teatrale’. Cosa voglia dire poi non lo so. Resta il fatto che ogni giovane allievo sogna di fare un giorno la longform, che è più difficile, è come la fanno i maestri, è più teatrale e quindi è come fare teatro. Quello vero.
Un fine coglitore di sarcasmo si sarà accorto che questo sillogismo non mi convince.
Intendiamoci, anch’io credo che ci siano due modi di improvvisare. Ma non sono longform e shortform (quale che sia il significato che volete dare a queste parole). Le dinamiche di improvvisazione sono le stesse. Si improvvisa allo stesso modo.
La differenza è se sei da solo o se sei con altri.
L’improvvisazione si basa sempre sull’ascolto, che è disponibilità al cambiamento all’interno di un sistema di azione e reazione. Se sei da solo ascolti te, al massimo il pubblico. Se sei con altri cambia tutto.
Dobbiamo smettere di far coincidere la distinzione tra longform e shortform con le differenze tra le varie cornicette, che sono importanti per noi e per il pubblico, per avere chiaro che cosa si va a vedere. Dare nomi alle cose è importante. Ma l’improvvisazione è (o dovrebbe essere) sempre la stessa. Che sia long, short o medium (giuro che ho sentito anche questa).
Riassumendo: la longform non esiste.
La short form non esiste. L’improvvisazione non esiste.
A pensarci bene non esisto neanch’io.
Puff.
Sono io quello che qualche volta ha usato l’espressione medium form. Me ne pento. Grazie per il tuo intervento di filologia improvvisativa. “Le parole sono importanti”.
mi permetto di inserirmi ché c’ero anche io a Bologna quando arrivò il primo Harold all’europea che portò sgomento nei nostri cuori come giovani alla prima vista di una tetta.
Aggiungo solo che a prescindere dalle definizioni, e non sto a discuterle, la differenza per me è (ad ora) la stessa e cioè tra chi sa improvvisare e chi non sa improvvisare. In quanto al teatrale pur condividendo il “cosa vuol dire teatrale…” continuo ad avere la necessità di vedere sul palco (nei teatri quindi) gente che ci sappia stare e spesso non succede ma tant’è.
Riguardo il significato di questi due termini, non è inutile osservare cosa scrive in merito Wikipedia, oramai (ahimè) l’unica fonte di sapere per moltissime persone, i cui contenuti sono spesso presi per oro colato. Cito testualmente da Wikipedia, alla voce Improvvisazione Teatrale:
“…Nell’ambito del teatro di improvvisazione, è comunemente accettata una distinzione in “short form” e “long form”, termini che indicano semplicemente la durata delle improvvisazioni stesse.
Uno spettacolo di “short forms” è fondamentalmente un contenitore all’interno del quale vengono create una serie di scene eterogenee per quanto riguarda temi e stili di recitazione, e di durata variabile da uno a quindici minuti circa.
Nella “long form” lo spettacolo è composto da una singola improvvisazione. La messa in scena rappresenta una o più scene/situazioni, queste ultime di solito legate fra loro da un tema comune…”
Ma, essendo una enciclopedia libera, tutto si può modificare e/o integrare…